Dibattito sul futuro del Pri/Alleanza politica significa partecipare con la nostra soggettività

Quella "terza forza" che è necessaria al Paese

di Antonio Del Pennino

Il problema posto dall'amico Nucara nel corso dell'ultima Direzione e riproposto nel fondo pubblicato sulla "Voce Repubblicana" del 12 novembre riguarda una questione essenziale: la possibilità di una sopravvivenza autonoma del PRI nell'attuale logica bipolare, in cui forti sono le spinte per passare addirittura ad un sistema bipartitico.

Ho già avuto modo, nel corso della Direzione, di esprimere le mie valutazioni al riguardo. Ma ritengo opportuno svilupparle sulle colonne del quotidiano del partito, per offrire a tutti gli amici alcuni, sia pur sommari, elementi di riflessione.

Le due grandi forze politiche che contrassegnano l'improvvisato bipolarismo italiano, e che dovrebbero essere i soggetti del futuro sistema bipartitico, non sono figlie – come nei paesi anglosassoni – di un processo storico nel corso del quale sono maturate realtà che si collocano nei due grandi filoni politico-culturali che hanno contrassegnato la vita dell'Occidente: quello liberale e quello riformista.

Sono invece figlie della rivoluzione mediatico-giudiziaria che agli inizi degli anni '90 ha travolto i partiti che la tradizione liberal-democratica, cattolico-liberale e socialista riformista rappresentavano, rivoluzione da cui si sono salvate solo le forze politiche eredi del fascismo e del comunismo.

Nei due principali schieramenti politici odierni sono quindi presenti ed influenti espressioni di forze, quella post-fascista e quella post-comunista, che con la tradizione liberale e con quella socialista riformista nulla hanno a che vedere.

Da un lato, vi è un blocco moderato-conservatore in cui con forze autenticamente liberali convivono, in modo prevalente, componenti clericali e post-fasciste.

Dall'altro, esiste un partito, il P.D., che, per usare un termine abusato, potremmo definire catto-comunista, in quanto in esso sono assolutamente maggioritari gli esponenti dell'ex PCI, e l'altra componente significativa è rappresentata da cattolici di sinistra, diversi dalla scuola degasperiana, mentre irrilevanti sono le presenze liberali o di estrazione socialista riformista.

A ciò va aggiunto il fatto che entrambi gli schieramenti, nel tentativo di conquistare un voto cattolico, che ormai assomiglia sempre più alle lucciole di Pasolini, sono portati a rinunciare ai principi laici, per assecondare le indicazioni di Oltre Tevere sui temi della libertà di ricerca, della sessualità, della procreazione e del fine vita.

Rispetto a queste due realtà a me sembra inevitabile la necessità di ribadire la ragione di un'autonoma presenza del PRI.

E non solo nel nome delle nostre tradizioni e della nostra storia.

Ma anche, e soprattutto, se vogliamo continuare ad esercitare un ruolo politico.

L'adesione ad uno dei due maggiori partiti, nel nostro caso il nascituro PDL, ci vedrebbe marginali: voci balbettanti in un contesto nel quale le ragioni dei repubblicani, come in genere quelle dei laici e dei liberali rimarrebbero ascoltate per cortesia, ma ignorate nella sostanza, qualora non coincidenti con quelle delle forze egemoni del nuovo partito.

Diverso è il discorso di un'alleanza politica, che allo stato non possiamo non ribadire con l'attuale coalizione di governo.

Ma alleanza politica significa partecipare con una propria soggettività alle scelte della coalizione.

In questa coalizione vi sono Ministri da Tremonti, a Brunetta, a Sacconi le cui scelte riformatrici non possono non trovare il consenso dei repubblicani. Ma, al di là di questo, vi è soprattutto il fatto che in un'alleanza politica ognuno conserva la sua libertà di giudizio e la possibilità di esprimere eventuali dissensi.

Lo scioglimento di un partito e la sua confluenza in un altro più ampio vuol dire assoggettarsi sempre e comunque alle decisioni che la nuova formazione politica compirà, anche quando fossero in contrasto con la nostra storia e la nostra coscienza.

Nel suo bel libro su "La storia dei laici" Massimo Teodori ne ha rivendicato il ruolo culturale e politico rispetto al "bipolarismo domestico tra clerico-democristiani e social-comunisti".

Oggi siamo in presenza di un "bipolarismo domestico", meno ideologico, più aggiornato, ma che egualmente non è il bipolarismo delle grandi democrazie occidentali.

Ecco perché permane l'esigenza di una terza forza, di cui il PRI deve farsi promotore. Una forza che ponga fine alla diaspora repubblicana e raccolga liberali, liberaldemocratici e liberal-socialisti, capace di rivendicare i valori e la storia dei laici e garantirne il rispetto anche in un logica di alleanze, come seppero fare Pacciardi, Sforza e Ugo La Malfa con De Gasperi.

In questa prospettiva le elezioni europee sono la prima sfida e il primo appuntamento.